Al termine di un conflitto armato, non importa chi sia ad imbracciare le armi, talvolta la pace è sancita da un parco. Non in, ma da un parco. Così è stato lungo il fiume Saluen. Era il dicembre 2018 quando in Myanmar, anzi al confine sud-orientale con la Thailandia, Paul Sein Twa inaugurava il Parco della Pace del fiume Saluen. Dopo lunghi decenni di scontro con il governo centrale birmano e migliaia di profughi, e il cessate-il-fuoco del 2015, il popolo Karen ha visto la pace prendere forma, diciamo, vegetale. Tre sono gli obiettivi di questo progetto. Uno, «pace e auto-determinazione». Due, «integrità ambientale». E tre, «sopravvivenza culturale».
Un riparo non solo per gli uomini
Ma la nostra sopravvivenza talvolta offre un rifugio anche a vite impreviste. Quell’area protetta di mezzo milione di ettari è stata abitata negli anni da molte specie a rischio di estinzione. Elefanti, gibboni e buoi delle giungle. Tigri, pangolini e leopardi nebulosi. Appartato com’è in un angolo della cartina del mondo (visto dall’Ovest), questo Parco si presterebbe alle più antiche fantasie di animali esotici. Monoceri, fenici e cinocefali. Ippocampi, manticore e unicorni. Ma nessuna fantasia regge davanti alla verità della pace.