Visitiamo una galleria d’arte, o una qualche esposizione temporanea. Può capitare di vedere esposta un’opera come questa: messi in fila su una lunga tavola bianca – degli oggetti macchiano la tovaglia a intervalli regolari, come seguissero il ticchettio di una lancetta – sono una serie di volumi identici, coperti da un getto di vernice industriale, di quelle ad asciugatura rapida.
Vernice nera su tovaglia bianca.
Nel 2017 Wang Guangyi è tornato a mischiare il mazzo del Tempo. Lo ha fatto con l’opera che abbiamo appena descritto con la metafora di un orologio. I libri che giacciono nelle loro fodere di plastica opaca sono tante Bibbie. Ma l’artista pechinese non aveva intenzioni eretiche. Per lui questi oggetti sono i reperti di un’epoca remota, originaria, che attraversano tutta la memoria dell’uomo per finire, ad esempio, sui comodini di qualche stanza d’albergo à à à per finire ricoperti da un prodotto, appunto, industriale, pratico, economico. Sembra che Guangyi abbia radunato sotto lo sguardo dello stesso spettatore un tempo millenario, la Bibbia, e un tempo istantaneo, quello che serve alla vernice per asciugarsi.
Wang Guangyi, il tempo biblico e quello a presa rapida.
Quanto tempo è occorso a una superficie per apparire così com’è ai nostri occhi? E quanto tempo occorre per annullare questi ricordi tattili sotto una patina omogenea, pronta al consumo? La macchina del tempo de Il Bisonte Journal ha caricato un altro pezzo d’arte contemporanea, per raccontare le Avventure del Tempo in Superficie (in questo caso, la finta pelle di una coperta libraria).