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Yacouba Sawadogo: intervista con Luigi Ceccon

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C’è assonanza tra le storie di Yacouba Sawadogo e de Il Bisonte. Prova a spiegarla l’AD del marchio fiorentino, Luigi Ceccon. Partiamo dall’intervistato. Perché un manager è rimasto colpito da un agricoltore?

La notizia mi ha colpito innanzitutto perché «piantare alberi nel deserto» era quello che dicevo di volere fare da ragazzo, quando mi veniva chiesto. Mi sembra che nella vita di Yacouba sia evidente il legame che oggi corre tra gli individui e il pianeta. Il mondo globale minaccia sempre più l’ambiente, così le soluzioni realmente benefiche per l’uomo sono benefiche anche per il territorio. Yacouba non ha solo salvato il suo villaggio, ma anche insegnato a ognuno cosa può fare dentro il proprio orizzonte. Inoltre, se il mondo globale importa (con arroganza) risposte sempre uguali, la sapienza locale diventa una risposta naturale, anche compresa nella quotidianità. Voglio dire che lui sa spiegare il gioco di responsabilità condivise tra gli individui per il loro futuro.

 

Per questo è un esempio trasversale a mondi diversi?

 

Il suo esempio di sostenibilità obbliga all’attenzione. Dimostra che tutti noi, nel nostro lavoro, col nostro sapere, possiamo contribuire in modo fondamentale. Un’idea come quella di «piantare alberi nel deserto» ha un apporto concreto al presente. Forse soprattutto perché è un’idea praticata con le mani: insomma un elogio dell’artigianalità.

 

Yacouba ha «fermato il deserto» con la sapienza locale, ma ci ha anche insegnato come farlo: quanto crede che valga il binomio tradizione-comunicazione in queste esperienze di rinnovamento?

 

Mi piace di più la parola informazione perché implica il risalto delle giuste notizie. Credo che la sostenibilità stessa dipenda dal suo rapporto con la tradizione. Per un motivo molto semplice: ampliare il raggio della tradizione significa innovare. Per esempio Yacouba, svincolando la tecnica agricola zaï dalla memoria del villaggio, ha potuto adattarla al nuovo clima della regione: renderla patrimonio comune e soggetta a cambiamenti.

 

Nelle motivazioni del premio «Champion of the Earth» 2020 delle Nazioni Unite, c’è proprio l’impegno di Yacouba per la creazione di un movimento sostenibile. Un’ultima domanda allora: cosa si auspica che insegni la sua lotta al mondo dell’impresa di oggi?

 

Purtroppo a due giorni dalla consegna dell’ultimo premio la sua foresta ha subito un incendio doloso, e da anni i suoi terreni rigenerati sono venduti per la costruzione di villette. È ovvio che abbiamo memoria breve anche di questi esempi. Perciò serve che Yacouba ispiri tante idee poetiche quante opere di informazione.

 

Un programma sostenibile per le imprese?

 

Ritengo importante che nella quotidianità individuale e nella vita delle aziende si tenda sempre di più alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. L’illuminante opera di Yacouba va sostenuta e raccontata, sia per gli effetti positivi della sua azione sia per gli effetti negativi del contrasto doloso e dell’uso anche economicamente miope del terreno rigenerato per speculazioni edilizie.

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