Foto di Maksym Zalevskyi
www.gvix.org/greenroad. L’Europa si rivolge all’Ucraina, in soccorso dei suoi profughi. Lo fa con una rete di eco-villaggi. Qui, non si curano solo le persone.
L’inverno è finito. Sta finendo. Non dappertutto. Ci sono inverni che non seguono le stagioni. Che si prolungano di là dai confini nazionali. Quando finirà l’inverno del popolo ucraino?
A Zeleni Cruchi (Colline verdi), a Tepla Gora (Montagne calde), a Zhyva Kahta (Casa della vita) – e in altri eco-villaggi ucraini il cui nome chissà cosa vuol dire – alcuni rifugiati ricostruiscono il proprio presente. Ma pure quello ecologico delle colline, delle montagne, di vecchie case di campagna dove andare ad abitare.
«FUORI DALLA ZONA DI GUERRA.»
A Zeleni Cruchi si pratica la permacultura, dunque. Si sperimenta con la terra, quella che ci circonda secondo un diagramma di armonia cosmica. Ogni coltivazione, ogni attività artigianale o di cura o di formazione deve avere lo spazio giusto nel paesaggio.
Un paesaggio martoriato, ma che oggi è solcato da strade di speranza. Da Green Roads. È il nome della rete europea di eco-villaggi in soccorso del popolo ucraino. Si scambiano cibo, competenze, volontari. Si vuole fare di ogni Zeleni Cruchi la tappa di un percorso di rinascita.
«C’È QUALCOSA CHE POSSIAMO FARE.»
Ecco allora che l’autonomia energetica, perseguita da questi progetti comunitari, corrisponde, si direbbe, a un’autonomia etica. C’è qualcosa di curioso, per esempio, nel ricorso alla bioedilizia in un Paese invaso militarmente.
C’è qualcosa di perfettamente generoso, per contro, nell’ospitare chi ha bisogno di aiuto, e cambiare la propria vita per farlo. E insieme condividere il proprio sogno sostenibile. Quando la guerra sarà finita, ci sarà bisogno di sognare. In una rete di eco-villaggi, sarà più facile farlo.