Crediti: Zachary Straw / Straw Photography
Per intanto andava soddisfatta qualche piccola curiosità. Capita alle volte, quando raccontiamo una storia interessante, di sentirci rispondere con certi dubbi che non lo sono affatto. È stato uno spettacolo… ma in platea quanti eravamo? Cosa importa di che colore era il cielo, o quanto largo era il prato, se sotto il cielo ho visto pascolare, libera, sul prato, una mandria di bisonti? Nei due post precedenti sull’InterTribal Buffalo Council andava però dipinto un minimo di contesto, perché il volo dal Myanmar al Sud Dakota non dura in questo Journal che il tempo di uno scroll.
Ma quanto largo era il prato?
Ora uno può dubitare che abbia senso parlare anche dei pensieri di un bisonte quando pascola. Oppure di cosa accade al filo d’erba che lentamente si rimastica. Bisognerebbe invece parlare delle grandi prospettive di crescita del comitato indiano per la loro protezione e diffusione in Nord America. Oppure dell’antico sterminio in cui è incorso l’animale e di certi aspetti di quella cultura riflessi nel presente. Ma Il Bisonte Journal spesso dirige lo sguardo altrove. E apre finestre dove prima non c’era neanche la parete.
Ma a cosa pensava il bisonte?
Così ci viene il dubbio, davanti a questa storia affatto interessante, di che cosa sia in fondo la ruminazione in cui i bisonti si intrattengono la più parte del tempo. Tralasciando i meccanismi fisiologici, in Occidente la Ruminatio può essere anche il lavoro di chi medita sulle parole. Di chi legge per cercarne il «sapore», l’intimo possesso, di chi le richiama per meglio comprenderle. Ma anche per fermentare queste parole nella fantasia. Probabilmente guardando la mandria Wolakota al pascolo a nessun indiano è mai venuta una metafora simile. Ma da Firenze il Sud Dakota sembra anche questo, una immensa macchina di pensiero su un prato. E chissà come fermenteranno le parole della loro tradizione.