Immagine offerta da The Metropolitan Museum of Art
Oramai ogni nuova storia del Journal compare davanti a un groviglio di altre storie. In effetti, raccontate da contemporaneità e geografie diverse, queste storie non sembravano potersi combinare, prima. Ma da vicino, poi, il viluppo dei fili sembra quasi un disegno ordinato. Basta avere memoria, ad esempio, della statua di gesso di Atena, nello studio di Xu Beihong, poche immagini fa.
COPIE DI GESSO IN CINA, COPIE DI BRONZO A MANTOVA.
Altra storia, altro artista, e oggi si offre a noi [rullo di tamburi] Pier Jacopo Alari Bonacolsi Gianfrancesco Riccardino (scherzo, gli ultimi due nomi li sono inventati). Meglio noto col nome de: l’Antico. “Che fa, offende?” Ma no. Egli non fu un banale imitatore dei marmi classici, un plagiario al lavoro nel retrobottega della storia dell’arte. La bottega la tenne in centro a Mantova, nel boom del Rinascimento. E basta uno sguardo al suo esercito di statuette di bronzo – gli amorini dormienti, le figurine eroicissime, le divinità con la corona affondata nei riccioli – per dare all’Antico pieno merito del proprio nome.
…E IL MODERNO.
Ogni geografia e ogni diversa contemporaneità ha il proprio antico. Alcuni ne sono così ossessionati da doverlo ricreare in laboratorio, invecchiando ad arte la superficie degli oggetti per dare l’impressione del tempo trascorso. Si è sempre fatto. Così fece il Rinascimento italiano. E personaggi come l’Antico vennero celebrati. Ai perché di tutto ciò ci pensiamo un’altra volta. Per ora ci resta un dubbio più semplice: il concorrente dell’Antico, Galeazzo Mondella, perché lo chiamarono il Moderno?