Credits: @amazonfrontlines @humanafrida
In questa puntata de Il Bisonte Journal, la prima sull’attivista Waorani di nome Nemonte Nenquimo, ci domandiamo se la violenza occidentale sull’Amazzonia non sia, in fondo, una richiesta d’aiuto a chi ha saputo proteggere la propria terra.
Quale reazione ci induce la vista di un indigeno. Ovviamente sul momento non conta che indigeno sia. Gli zigomi sarebbero altissimi e la barba fulva, o dolci le linee del volto e i capelli corvini, che a tutta prima non li vedremmo. Quello che conta, che so, è il gonnellino di paglia, e i pendenti che sferragliano davanti la telecamera avventuratasi nel villaggio della savana, per girare il classico reportage della prima serata. La nostra conoscenza degli abitanti ai margini dell’Occidente (mai di noi abitanti dei loro margini) è, generalmente, da bocciatura, e senza appello. Sono pochi gli uomini e le donne che ci ricordano il nome di un popolo lontano.
È più spesso l’Occidente a conferire i premi.
Nemonte Nenquimo è tra questi. In breve: Nemonte ha vinto un premio. Nello specifico, il Green Nobel, cosiddetto. Indovinate la provenienza di chi l’ha conferito. Sì: occidentale. Nello specifico, San Francisco, California, la Goldman Environmental Foundation. Le motivazioni del premio le raccontiamo nella prossima puntata del Journal. Per ora basti sapere che Nemonte sta salvando un pezzo di foresta amazzonica. L’Amazzonia. Non credereste che il nome è occidentale. Le Amazzoni, mitiche guerriere a cavallo, non hanno mai navigato l’Atlantico, a differenza di qualche spagnolo che aveva letto le tragedie greche.
O stiamo piuttosto chiedendo un aiuto per salvare l’Occidente?
Nemonte sta salvando il suo popolo Waorani, ha 33 anni, una bambina di 4, e all’ultima intervista alla Goldman Foundation ha dichiarato: «Los gobiernos y las industrias nos están mostrando que no pueden ver más allá del hueco que están perforando». Chi devasta l’ambiente non riesce a vedere più in là del buco che scava. Allora domandiamoci questo: quando irrompiamo, violentemente, nei territori ancora protetti da chi chiamiamo indigeno solo per non chiamare primitivo, siamo in cerca di nuove risorse, o stiamo piuttosto chiedendo, disperatamente, un aiuto per salvare l’Occidente?